Smart working

Smart working non significa “da casa”

Notizie |  15 Maggio 2020

Smart working

Ogni volta che mi dicono che il corpo umano è composto da circa il 60% di acqua resto meravigliata. Chi lo direbbe che il nostro fisico, generalmente percepito come “solido” ha invece una componente così fluida? La percezione della nostra natura – e di quella che ci circonda – è spesso divergente dalla realtà. Maledette categorie mentali che ci costringono a semplificare sempre tutto, perdendoci a volte il piacere di scoprire la complessità del mondo, ma soprattutto, spesso, grandi verità.

Così, mentre tutti osannano lo smart working come soluzione perfetta per organizzare il lavoro impiegatizio del domani, immaginando un futuro di perenne reclusione in salotto, ci perdiamo l’essenza stessa della parola “smart”, che significa “intelligente”.

Quale intelligenza può esserci in un lavoro che ci costringe all’isolamento sociale, all’esposizione a mille fonti di distrazione (a cominciare dai figli), a una vita in pigiama? Lo smart working non nasce per abbandonare la rigidità organizzativa in azienda e abbracciarne una nuova, tra le mura domestiche. Lo smart working nasce per aggiungere flessibilità dove questa è più necessaria.

Mi ha fatto riflettere la comunicazione che Twitter ha fatto ai propri dipendenti: “Potete lavorare per sempre da casa. Per chi vorrà, i nostri uffici resteranno comunque aperti.” La prima parte del messaggio risuonava come una condanna. La seconda, sembra offrire la salvezza nel mondo del “prima”. In realtà, ciò che manca, è proprio lo smart working, che nasce per tirare fuori il meglio dal nostro lavoro.

E da cosa è composto il nostro lavoro? Come per il corpo umano, anche in questo caso probabilmente siamo tentati di rispondere “Computer, riunioni, fogli Excel, presentazioni PowerPoint, analisi, report”. In realtà, anche il lavoro è composto principalmente da una componente fluida: le relazioni con gli altri, il dialogo davanti a un caffè, un breve confronto in corridoio, i dolcetti condivisi per il compleanno. E le connessioni in video conferenza privilegiano prevalentemente la parte verbale della comunicazione tra persone. Spesso, per “risparmiare banda”, non ci si vede nemmeno, perdendo così l’essenza stessa della comunicazione umana, che è composta solo dal 7% da parole. Il resto è tutto non verbale.

La nostra produttività sul lavoro è quindi legata a un delicato equilibrio tra competenze tecniche, uso dei dispositivi elettronici, organizzazione e relazione umana. Il dato fisico è imprescindibile. E dunque, volendo trovare la corretta applicazione dello smart working, dobbiamo ragionare in termini di totale flessibilità: bene non doversi per forza recare in azienda, soprattutto se questa implica spostamenti impegnativi e ambienti che non agevolano la concentrazione; bene scegliersi uno o più luoghi dove lavorare, senza rinunciare alla componente relazionale, come ad esempio gli spazi di coworking, che in fondo sono nati proprio per questo; bene lavorare ogni tanto anche da casa, quando è proprio quello di cui si sente il bisogno; bene andare periodicamente in azienda per tenere saldo lo spirito di squadra e, come si dice, sedersi tutti attorno a un tavolo.

Chi lavora nel settore creativo come me lo sa bene: confrontarsi con gli altri, con la diversità di persone e di scenari, aumenta la qualità del lavoro prodotto. Del resto, la generazione dei messaggi pubblicitari deriva “per legge” da un brainstorming a cui hanno partecipato un art director e un copywriter insieme, spesso condividendo una pizza fredda a mezzanotte, dopo aver giocato a calcetto per ore. I risultati di valore difficilmente arrivano da un lavoro portato avanti in solitudine. E nemmeno in video conferenza.

Ora, la domanda è: siamo pronti a questo? Siamo pronti a esercitare responsabilmente la nostra libertà? A rendere il nostro lavoro veramente intelligente? A superare l’ansia di controllo, iniziando a programmare i flussi secondo obiettivi pianificati per tempo? Ad abbandonare lo stato di perenne urgenza in cui il modello di lavoro italiano annaspa da decenni, al contrario di altri paesi europei, dove il rispetto per la vita delle persone è integrato con l’organizzazione aziendale?

Forse. Ma non – solo – da casa.